Fabio M. Bodi, è nato a Milano il 1 Novembre del 55. La sua famiglia si trasferisce prima in Sicilia e poi a Torino dove, nel 66, viene iscritto in una scuola religiosa nella quale è subito classificato come deficiente: è il suo massimo riconoscimento scolastico. L’istituto lo manda al centro di igiene mentale, qui però risulta avere un quoziente superiore alla media e viene così rispedito a scuola, dove si guadagnerà una cospicua dotazione di schiaffi in faccia e di calci in culo, scoprendo che nella vita è sempre meglio passare per scemi. Come dice Renè Girard: “più ci si allontana dallo statuto sociale comune, in un senso o nell’altro, più aumentano i rischi di persecuzione”. Fabio Bodi è un’anima nera, un misantropo disadattato di cui non è facile dire qualcosa: quello che segue lo riguarda.
Ho conosciuto Fabio a Le Rins, non so nemmeno bene in che periodo, mi fece un ritratto a penna, e l’ho rivisto per caso anni dopo, in montagna, mentre saliva da solo verso l’alta valle. Abbiamo scambiato quattro parole là dove cominciava la neve e il giorno dopo, riscendendo, ha messo la tenda vicino alle nostre. Era l’aprile del 1983 e campava disegnando story board, ma considerava di smettere per insegnare. Pensavo che avrebbe chiesto una cattedra di discipline pittoriche o di disegno, le materie per le quali era abilitato, invece fece di tutto per insegnare religione. Per me era più un Rasputin che un santo Tomaso e non me lo vedevo, ho sempre pensato poi che quel suo occuparsi di religione fosse uno spreco di talento, perché aveva studiato con le personalità più rilevanti del panorama artistico torinese e possedeva una mano eccezionale. Negli anni della formazione aveva conosciuto pittori come Gastini e Tabusso, Soffiantino e Gilardi, Carena, Surbone, Ruggeri e quant’altri, sebbene il suo vero maestro fosse stato Lorenzo Alessandri, presso il quale aveva fatto “bottega” secondo un uso quasi medioevale. Alessandri era un pittore di ottimo mestiere, ma era più noto per essere il “papa di Satana” che non un semplice artista. La cosa in se poteva sembrare mostruosa, ma Fabio era cresciuto tra tarocchi e sedute spiritiche e, mentre tutti giravano alla larga dal “trucco Surfanta”, la collina su cui viveva il maestro, lui ci passava giornata: può darsi fosse romantico, ma lui non lo sapeva: “è difficile far rumore sulle cose che hai ogni giorno, le tue brache il tuo sudore e l’odore che ti porti addosso”.
Non gli sembrò invece normale la macelleria degli anni di piombo. Nel 76 lasciava una Torino piacevolmente agitata per ritrovare, diciotto mesi dopo, una delirante “giustizia proletaria”. Il servizio che aveva fatto come ufficiale degli alpini in sud Tirolo non lo aveva preparato a vedere le torce umane dell’Angelo Azzurro come già quelle di Primavalle. Nel maggio del 79, per difendere un “cattivo”, viene pestato selvaggiamente, riportando diverse fratture. In fondo e senza encomio, aveva salvato la vita a un ragazzino; si prese invece, una volta di più, dell’imbecille.